Una visione globale non è antitetica ad una organizzazione localizzata dell’economia.
Non confondiamo il termine “Globalizzazione” che ha un intento propagandistico, con la realtà che è l’integrazione internazionale della produzione. Non c’è niente di realmente aperto e ampio, come il termine globalizzazione ci fa immaginare, nel far lavorare sottocosto persone lontane da noi.
A parte il termine Globale, per il quale sono d’accordo solo nel campo dei diritti, le obbiezioni che pongo sulla produzione delocalizzata sono di altro genere.
Uno scambio è equo solo a due condizioni: il potere d’acquisto e la circolazione della moneta devono essere comparabili.
Il potere d’acquisto è di due tipi: il potere d’acquisto della moneta e il potere d’acquisto della persona (o delle famiglie).
Se in due nazioni non c’è un potere d’acquisto comparabile, lo scambio è iniquo. Gli imprenditori della nazione con potere d’acquisto più elevato sono costretti a diminuire i loro costi, togliendo diritti ai lavoratori, semplicemente perché non possono competere con prezzi così bassi. Se non riescono ad abbassare i prezzi fino a competere, sono costretti a delocalizzare la produzione.
Supponiamo che si riesca a convincere il governo cinese a introdurre i diritti dei lavoratori e il controllo sull’inquinamento, questo aumenterebbe i costi della loro produzione e anche il potere d’acquisto delle persone, visto che avrebbero una vita meno difficile. Ma comunque lo scambio sarebbe iniquo, visto che il cambio monetario sarebbe a nostro sfavore.
Certo, se il cambio fosse effettuato in base al costo reale di beni di consumo questo problema potrebbe essere superato.
Supponiamo che i governi italiano e cinese si mettano d’accordo nell’effettuare il cambio sulla base del prezzo medio di un uovo. Allora la mia merce vale ad esempio un milione di uova ed è quello il prezzo che devo pagare.
Ma non è così. Il cambio è iniquo. Potrebbe essere più equo solo se lo scambio fosse di merce contro merce.
L’altra condizione è quella della circolazione della moneta. Se tutti i capitali sono concentrati nelle mani di pochi, le classi meno abbienti sono disponibili ad accettare qualunque condizione di lavoro, anche la più svantaggiata, semplicemente perché sono costretti dal bisogno immediato.
Se la distribuzione delle risorse economiche è molto diversa da un Paese all’altro, sono anche diversi i costi di produzione, indipendentemente dal giudizio morale che possiamo dare a situazioni di estrema ricchezza vicino all’estrema povertà. E’ un dato di fatto, non un giudizio morale.
Per quanto riguarda lo scambio di energia, penso che nessun Paese dovrebbe essere schiavo di un altro dal punto di vista energetico, e a nessuna impresa privata dovrebbe essere concesso il monopolio di fatto delle risorse primarie come l’energia e l’acqua.
Molte delle guerre in atto nel mondo sono determinate dall’esigenza di controllare fonti energetiche.
Dovremmo piuttosto favorire di una produzione in piccola scala dell’energia, in modo da distribuire il potere che deriva dal controllo della stessa. Ci sono sperimentazioni in atto sulla armonizzazione della produzione in piccola scala, visto che il problema principale è la variabilità dell’offerta nell’arco del tempo. Con sistemi computerizzati si riesce ad armonizzare le piccole fonti per produrre energia a basso costo e a basso impatto ambientale.
Se anche il costo fosse leggermente più alto, potremmo comunque evitare il costo umano ed economico delle guerre per l’energia.
Albino Bordieri